L’immaginario contemporaneo nella poetica di Marco Giovenale (allegato dell’intervista circa La casa esposta e Shelter)

Incontrare Marco Giovenale di persona per poter dialogare con lui ha costituito un’occasione preziosa per nutrire di nuove sfumature le rappresentazioni che abbiamo del mondo contemporaneo.

Attraverso le parole che Marco ci ha rivolto possiamo risalire all’immaginario che anima la sua poesia, fino a poterlo correlare, forse, a quei nodi problematici che rappresentano le chiavi di volta dell’immaginario psicologico-sociale contemporaneo. L’architettura sintattica e l’architettura dello spazio testuale di cui parla l’autore appaiono un riflesso piuttosto fedele della complessità del mondo, così come è percepito nel periodo storico che stiamo vivendo.

È un lavoro “pesante” quello che svolge questo autore, il suo atto di scrivere, in sé, è tutt’altro che semplice o confortante. D’altronde però è animato dalla segreta consapevolezza di essere l’unico mezzo possibile, a disposizione dell’io, per poter realizzare l’opera poetica in maniera compiuta e soddisfacente.

Un percorso doloroso, quello del nostro poeta, che deve conoscere attraverso le parole “l’eterno ritorno della malattia”, la quale spesso è ereditata, è un “errore” che “prescinde dalla contingenza”; deve indagare le ombre, le contraddizioni, le ellissi ignote che si incistano nel “rullo rotto” della dimensione spazio temporale; l’autore è chiamato spontaneamente a dover rappresentare nello spazio testuale quella inaccettabile condizione di “essere dentro ed essere fuori” allo stesso tempo, o allo stesso luogo, potremmo dire [vedi intervista]. Diviene anche necessario fare i conti col desiderio (fantasticheria) di poter costruire una “planimetria” dell’esistere, una mappa che dia una sicura rappresentazione del mondo. Proprio attraverso un tale percorso è possibile sconfessare quello stesso desiderio e riconoscerne la cifra illusoria e irrealizzabile. L’autore al termine della stesura della sua opera si ritrova fra le mani un libro con un’architettura spaziale estremamente sbilanciata, con elementi strutturali che si ostacolano e si oppongono fra di loro. Questo lavorio, dunque, culmina nella pubblicazione dell’opera finita, che nella sua struttura spazio-testuale lo riflette e lo sublima.

Ma quindi cosa ci dice della contemporaneità l’immaginario giovenaliano? E, allo stesso tempo, quali aspetti della contemporaneità traspaiono in tale immaginario? L’attenzione ricade, dal mio punto di vista, al rapporto ancora difficile che la società intrattiene con la scienza ed in particolare con la scienza medica. Il tema dell’attuale impotenza umana, scientificamente provata, rispetto all’eredità cromosomica, o a certe abitudini famigliari, mette in luce quanto sia difficile accettare la consapevolezza delle inesorabili leggi della natura e, allo stesso tempo, sembra richiamare alla necessità che si affermi il rispetto per la sensibilità e la fragilità umana. L’eziologia scientifica rivela la sua spietata crudezza e con essa, forse, l’essere umano non ha ancora imparato a fare i conti.

L’altro tema, fortemente contemporaneo, è quello dei tempi brevi. La scrittura di Giovenale pare riprodurre fedelmente una certa ansia di brevità, generata dai tempi corti e dagli spazi mutilati che ci propone la vita moderna con la sua struttura organizzativa e con le sue modalità di comunicazione. Tale scrittura pare riproporre cioè una modalità dell’essere come disseminata di “buche” inesplorate. Allo stesso tempo però tale modalità – che pare incorporata in primo luogo nell’io dell’autore – nell’attuarsi della parola scritta, innesca la possibilità dell’approfondimento e della riflessione. Infatti la conformazione dell’essere del nostro poeta, se da un lato può essere considerata la responsabile dello sforzo di prosciugare la sintassi, dall’altro plasma una tipologia di frammenti scritti che assumono le sembianze di vetri in frantumi, ossia di oggetti in grado di operare una diffrazione a stella sulle immagini, ingenerando e rigenerando i significati. Questa risultante di diffrazione potrebbe essere interpretata come un bisogno inconsapevole di tempi lunghi, quantomeno nel dipanarsi del pensiero. Infatti dietro ai frammenti della sintassi di Giovenale si nasconde un mondo luminescente – una cava direbbe lui – che occupa tantissimo spazio. Questo, per essere sondato, ha assoluto bisogno di un tempo sufficientemente disteso: pena lo smarrirsi dentro l’iridescenza dei significati e delle identità di cui è portatore. È come se il poeta proponesse al lettore una sfida testuale, quella di trasformare l’iridescenza delle superfici in una serie di luci più definibili e personali. Ciò richiede pazienza e un passaggio forzato attraverso l’ombra. Sta a noi accettare o meno questa sfida.

Il concetto di disintegrazione, del corpo e delle percezioni, che recuperiamo fra le righe del poeta, credo costituisca un ulteriore strumento per leggere il presente. L’esposizione della propria intimità e del proprio interno verso un mondo attuale che è enorme e vario, seppur omogeneo sotto certi aspetti, richiede all’uomo e alla donna contemporanei una sforzo assai maggiore rispetto al passato. Questo a causa della necessità di integrare fra loro le molteplici possibilità di essere che oggi ci sono rese disponibili. Il bisogno di appartenenza proprio dell’essere umano, adesso, necessita probabilmente, per poter essere soddisfatto in maniera sufficiente, di uno sforzo maggiore rispetto al passato.

L’altro tratto della poetica di Giovenale su cui mi vorrei soffermare riguarda l’esplicito riferimento che essa fa alla poesia d’avanguardia o di ricerca. L’atto di ricerca che fa il nostro autore lo affiancherei al consolidarsi della cultura scientifica nella società contemporanea. Infatti la ricerca di nuove soluzioni stilistiche potrebbe rappresentare quell’atteggiamento di problem solving di cui è imbevuta la cultura positivista alla base della vita sociale moderna.

Insomma in vari modi, consapevoli o inconsapevoli, espliciti o impliciti, l’autore ci permette di recuperare delle possibili chiavi di lettura per poter delineare qualcuno dei contorni della poesia contemporanea: la scienza medica, i tempi brevi, la disintegrazione del Sé, la ricerca. Non è questa la sede per valutare in maniera esauriente l’opportunità o meno di questi tratti all’interno della società contemporanea ma penso che sia possibile distinguere fra di essi quelli che richiederebbero una correzione di tiro.

Tornando più strettamente alla poesia, è doveroso mettere in luce l’altra faccia, complementare, che manifesta la scrittura di Giovenale. L’ “ossessione”, che ci pare virtuosa, dichiarata dall’autore è infatti il “fenomeno” dell’iridescenza che scaturisce dall’ombra, il quale, direi, intrattiene un rapporto interessante con l’immagine di essere “per metà dentro la nascita” [Shelter, p.111]. Il duro processo di restituire al lettore una pagina pluridimensionale rivela, nel suo dispiegarsi, un versante che mi sento di definire divertente o quantomeno compiaciuto: nello scoprire intersezioni e confusioni fra i campi semantici si palesa un’emozione di avventura che sembra appagare l’autore stesso oltre che il lettore.

Inoltre i lacerti dei significati e dei significanti, se in prima battuta comunicano lo sgretolarsi del corpo e della percezione sotto il peso della malattia o del passato ineluttabile, ad una riflessione a sangue freddo subiscono una mutazione che li connota come “frammenti di resistenza”. È proprio il concetto di resistenza – anche politica – quello che meglio rappresenta tutta la parte luminosa della poetica giovenaliana. Da questa scaturisce anche la vena assertiva che attraversa le opere La casa esposta e Shelter. I ritratti presenti in quest’ultimo libro sono “esseri di resistenza” che vanno a costruire delle allegorie cave. L’autore ci spiega che ad un primo livello di lettura piano segue un livello di lettura cavo che si delinea come miniera di significati solo qualora il lettore sia disposto a emettere la propria voce al suo interno. In questo modo il lettore innesca, all’interno della cava, degli echi, rendendosi così protagonista attivo del suo esistere. È come se il poeta esortasse il lettore a mettersi al centro, ad andare in profondità, a scavare. Nonostante vengano dismesse le categorie salde e i luoghi risultino spesso troppo esposti, Marco osserva che “i luoghi offrono sempre degli spiragli di iridescenza” [vedi intervista]. La rete, che può irretire, di questa contemporaneità – compresa la rete Internet in cui il nostro autore è molto presente – grazie all’integrazione operata dalla cava e alla sintesi linguistica offerta da alcune parole come shelter (rifugio ma anche ricovero), può giovarsi – seppur con fatica – di un cambiamento di stato che unisce dinamicamente in una sol cosa le ambivalenze dell’esistere.

 Andrea Lorenzoni


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